Pagina 2 - Il Tassello

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L’amore opera
Il vero nocciolo della questione non è la sim-
patia o l’antipatia ma l’empatia. Si tratta di
un termine usato - ed abusato - da molti che
spesso ne travisano il significato riducendolo a
sinonimo di simpatia. Gesù fu l’incarnazione
dell’empatia cioè di quella attitudine umana
ad entrare in risonanza con le coscienze delle
persone, quella capacità di provare in sé i me-
desimi sentimenti di quelli che si incontrano.
Gesù empatico è l’uomo che immediatamente
percepisce il palpito del cuore dell’uomo e ne
comprende emozioni, desideri, passioni e atte-
se. L’empatia di Gesù gli permetteva di vibrare
sulla stessa lunghezza d’onda dei bimbi, e, su-
bito dopo di sintonizzarsi sul cuore del malato
o dello scettico o del malvagio. Ebbene, que-
sta immersione nella coscienza dell’altro non
significa immediatamente accondiscendenza o
accettazione acritica delle istanze altrui, infatti
in forza della sua profonda empatia il Signore
conosceva l’animo del suo interlocutore ed era
capace anche di rifiutare il sentimento percepi-
to, di contrastarne le forse ambigue del cuore.
Proprio perché empatico, Gesù poteva piange-
re con le sorelle di Lazzaro alla tomba ma era
in grado di appiccare la miccia della battaglia
o di entrare in collisione con i disonesti e i tra-
sformisti.
Empatia non è dunque andar d’accordo con
tutti a tutti i costi ma partecipare al vissuto
emotivo dell’altro, capirlo, amarlo e, se è il
caso, contestarlo e rifiutarlo. Diffidate di quelle
persone che devono essere sempre simpatiche
a tutti.
Le opere di misericordia spirituale di cui
oggi parliamo si basano proprio su questa at-
titudine umana che Gesù ha perfettamente re-
alizzato in sé. L’incarnazione del Verbo, che in
questo tempo di Avvento attendiamo e invo-
chiamo, ci doni un po’ della sua empatia per
poter uscire dal freddo isolamento della simpa-
tia o della antipatia e metterci finalmente sulla
stessa orma dell’anima degli esseri umani.
Buon cammino di Avvento a tutti voi.
Don Attilio
L’intercessione di Edith per il popolo di Dio
E
dith Stein era di famiglia ebrea, ma solo
quando, approdata alla fede cristiana e
diventata monaca carmelitana, si trovò
a vivere in tale veste la persecuzione nazista
che nella Germania degli anni ’30 colpiva fero-
cemente il popolo di Abramo, capì veramente
che cosa significava far parte della stirpe che
Dio si era scelto per venire ad abitare tra gli
uomini.
Edith si sentì particolarmente vicina, in
quella stagione di violenza, alla regina Ester,
la protagonista dell’omonimo libro biblico, la
quale era stata “tolta al suo popolo proprio per
stare davanti al re per il popolo”. Questo era
per Edith “intercedere”: stare davanti al re per
il popolo. Nel suo testamento spirituale, quella
che era diventata suor Teresa Benedetta della
Croce, oggi riconosciuta compatrona d’Euro-
pa, formulò il desiderio che la sua vita e la sua
morte venissero accolte dal Signore “per l’e-
spiazione dell’incredulità del popolo d’Israele
e affinché il Signore venga accettato dai suoi,
e venga il suo Regno in tutto il suo splendore”.
Edith sarebbe morta tre anni dopo, proba-
bilmente il 9 agosto 1942 (oggi in questa data
celebriamo la sua festa liturgica), nel lager di
Auschwitz: essa fu uccisa in quanto ebrea, ma
già da tempo aveva assunto quel destino, che
sentiva vicino, consapevolmente, da cristiana,
trasformandolo in offerta di intercessione per
la sua gente.
Questo, dunque, è “intercedere”, cioè prega-
re per gli altri: lo può fare in verità solo chi non
rimane estraneo a ciò per cui prega, alle vicen-
de, ai volti, alle storie che presenta a Dio nel-
la sua preghiera. Pregare per gli altri significa
assumersene la responsabilità davanti a Dio,
sentirsi profondamente coinvolti nella loro sto-